- Regio decreto legge. Un film straniero doppiato al di fuori del Regno d’Italia non poteva essere proiettato nelle sale italiane.
Se nella nostra testa pare difficile mettere insieme nella stessa immagine sale cinematografiche, re e Italia (al di là della realtà storica, proprio il cinema è uno dei colpevoli per cui la parola re ci piazza subito in testa un tizio barbuto con la corona che è difficile da accostare a quella famiglia oggi famosa per pubblicità di olive, reality vari e imbarazzanti approcci canori), è stata proprio questa presa di posizione che cambiò le carte in tavola.
È proprio una polemica recentissima quella che vede coinvolti alcuni network in streaming che, per amore del risparmio pecuniario (non dimentichiamo che in primis sono tutte aziende), hanno iniziato a sperimentare doppiaggi in italiano realizzati in altri paesi. Che in effetti, parlando di risparmio economico, si sono comportati esattamente come quando prendi lo snack sfizioso nella versione discount. Mai avuto la sfortuna di addentare una versione tarocca di una barretta Kinder pregustando il godimento a cifre con cui di solito paghi i sacchetti del reparto ortofrutta?
Il popolo del web è insorto, costringendo in molti casi i network a tornare sui propri passi (cornuti e mazziati perché dopo avere speso poco per la versione “home made” hanno dovuto spendere anche le cifre ben più ragionevoli per un doppiaggio D.O.C.). Eppure, agli albori del doppiaggio, le cose, appunto funzionavano così: erano gli stessi stranieri (praticamente all’epoca si parla solo di americani) a fornire il prodotto già doppiato.
Il regio decreto dà la stura alla nascita dei primi stabilimenti di doppiaggio e, c’è poco da dire, la differenza si nota subito. Anzi, ovviamente, si SENTE subito.
Gli anni ‘30 segnano il momento in cui gli attori che intraprendono questa opzione tra i loro lavori iniziano a sviluppare una vera e propria specializzazione. Quello che era parso un semplice miglioramento, inizia a diventare uno sviluppo qualitativo che porta il mestiere ad un eccellenza. L’elenco è lungo e comprende nomi illustri: Mario Ferrari, Romolo Costa, Corrado Racca, Gero Zambuto, Carlo Lombardi, Gino Cervi, Paolo Stoppa, Mario Besesti, Olinto Cristina, Augusto Marcacci, Giulio Panicali, Sandro Ruffini, Augusto e Rosina Galli, Francesca Braggiotti, Tina Lattanzi, Lydia Simoneschi, Andreina Pagnani, Rina Morelli, Giovanna Scotto, Marcella Rovena, Nella Maria Bonora, Lola Braccini, Dina Perbellini, Anna Magnani, Emilio Cigoli, Lauro Gazzolo, Gualtiero De Angelis, Giorgio Capecchi, Stefano Sibaldi, Vinicio Sofia, Carlo Romano, Renata Marini, Wanda Tettoni, Luigi Pavese, Rosetta Calavetta, Giuseppe Rinaldi, Pino Locchi, Arturo Dominici, Renato Turi, Gianfranco Bellini, Mario Pisu, Dhia Cristiani, Flaminia Jandolo, Corrado Pani, Luciano De Ambrosis, Germana Calderini e Maria Pia Di Meo. Fino agli anni 50 il cinema in Italia ha queste voci.
Poi arriva la televisione, e il bisogno di voci si fa sempre più importante, anzi, esponenziale. Dagli anni ‘70 in poi telefilm, soap opera e cartoni animati aumentano il bisogno di variabili e di un numero sempre crescente di bambini (anche se spesso le doppiatrici femminili hanno dato splendide voci ai bambini) e ragazzi. Iniziano così a nascere vere e proprie “dinastie” di doppiatori. E prima di gridare al nepotismo, bisogna fermarsi un attimo a valutare qualche ragione specifica. La più immediato: il doppiaggio ci porta all’orecchio una lingua italiana dalla dizione pulita. Dove li troviamo a Roma, dei bambini che possano essere disponibili e che non parlino con un accento troppo marcato? Diciamo che dovrebbe venire facile intuire come un bambino cresciuto magari in una casa di attori è sicuramente più semplice da gestire una volta piazzato davanti al leggio. Quando poi alcuni di quei bambini ci prendevano gusto col lavoro, hanno proseguito in età adulta, accumulando mestiere. Insomma, sembra quasi di stare a sentir parlare di un lavoro artigianale, che si sviluppa spesso in famiglia, dove si cresce e si impara provando (gli aspiranti doppiatori passano spesso da una fase dove si occupano di brusio, le voce dei personaggi in sottofondo, o di piccoli ruoli).
Negli anni però il fascino di questo lavoro ha iniziato ad irretire una nuova generazione con un punto di vista nuovo. Tocca dirlo, la colpa di nuovo è spesso e soprattutto dei cartoni animati. Questi nuovi ragazzi e ragazze ad un certo punto hanno deciso che il doppiaggio per loro non sarebbe stato solo un elemento del loro bagaglio: quel gusto e quel piacere ricavato dalle voci gli ha messo in testa di decidere che fare doppiaggio (e non l’attore o l’attrice in generale che avrebbero anche doppiato com’è usualmente la norma) sarebbe stato il loro sogno ed obiettivo.
Difficile qualcosa del genere possa succedere in certi paesi dell’est. Avete mai assistito al doppiaggio tipico dell’est Europa, dove un’unica voce (di solito maschile) si limita a ripetere nella sua lingua in modo frustrantemente atono quello che gli attori recitano in sottofondo?
Di questo e di molto altro, parlano gli artisti nella seconda puntata del nostro documentario, “Doppiattori”
Fonte immagine di copertina: speakeraggio.com